Martedì, 10 Novembre 2009 12:30

Progetto Educativo

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Progetto Educativo 2008-2011

 

<< Educare è curare con amorosa attenzione la semente del regno di Dio che ogni ragazzo porta dentro, aiutandola a crescere vigorosamente, nonostante le spine e le pietre, e a produrre frutti diversi >>

 

Il progetto educativo, la cui stesura è uno dei mandati della Comunità Capi, si ispira ai principi dello scautismo ed al Patto Associativo.

Atteraverso tale strumento la Comunità Capi individua le aree di impegno prioritario, a fronte delle esigenze educative emergenti dall’analisi dell’ambiente in cui il Gruppo opera, ed indica i conseguenti obiettivi e percorsi educativi.

Il Progetto educativo, di conseguenza, aiuta la Comunità Capi a realizzare una proposta educativa più incisiva, continuativa ed efficace: favorisce l’unitarietà e la continuità delle scelte educative nelle diverse Unità  - le singole pattuglie, infatti, andranno a concretizzare e tradurre, con gli strumenti metodologici più appropriati, gli obiettivi prefissati - ed agevola l’inserimento del Gruppo nella realtà locale.

Il progetto assume forma scritta e viene presentato alle famiglie per condividere con esse prospettive ed orizzonti pedagogici, incentivando un proficuo scambio e una ricchezza relazionale fondamentali per un agire consapevole e mirato.

Inoltre, essendo uno strumento flessibile e dinamico, aperto al cambiamento – sognato, cercato e pazientemente costruito - esso è periodicamente verificato e rinnovato dalla Comunità Capi, in un’ottica di reale corresponsabilità ed impegno condiviso, assicurando in tal modo, la continuità all'azione educativa ed una crescente solidità delle competenze pedagogiche dei singoli capi.

 

La nostra Comunità Capi, a seguito dell’analisi condotta per individuare le aree tematiche su cui lavorare in maniera prioritaria, definisce i seguenti ambiti di intervento per il triennio 2008 – 2011:

 

  • L’educazione al reale: la fatica di crescere insieme;
  • L’educazione al senso: la bellezza della fede;
  • L’educazione alla relazionalità: la responsabilità, la partecipazione e il dialogo.

 

 


L’educazione al reale: la fatica di crescere insieme

 

Il gruppo, in particolare nelle fasce d’età minori, presenta oggi una composizione eterogenea per provenienza territoriale ed estrazione sociale, a seguito del cambiamento di sede (e territorio): ancora numerosi sono i ragazzi del quartiere Poggiofranco – Picone, cui lentamente si stanno affiancando i nuovi censiti che abitano e vivono, con le proprie famiglie, il quartiere e la parrocchia. La scelta di inserire in lista di attesa solo giovani del territorio che fa capo alla parrocchia di San Marcello è stata determinata dal desiderio di ricostruire un’identità del gruppo radicata e il più possibile integrata con il territorio, per orientare al meglio il nostro agire educativo e <politico>, senza interferire con l’azione dei due gruppi a noi vicini – il BA 4 e il BA 1 – con cui condividiamo problematiche e risorse.

 

Nella nostra azione educativa, mai fine a se stessa o capace di sostituirsi alla famiglia, cui noi possiamo solo essere di supporto offrendo particolari e privilegiate occasioni di osservazione e di crescita per i ragazzi, abbiamo individuato le seguenti problematiche a cui dare risposta positiva:

 

  1. La scarsa capacità di autentico ascolto e di rispetto delle regole. Specchio della società in cui viviamo, i ragazzi spesso ostentano atteggiamenti pretenziosi e supponenti, quasi come se tutto fosse loro permesso e dovuto, a volte incapaci di fermarsi ed interrogarsi sul valore di ciò che dicono, desiderano o fanno;
  2. La frequente superficialità e mancanza d’impegno nel fare le cose, che si traduce in poca concretezza e partecipazione, pur nel proprio piccolo, ad un bene più grande, capace di superare il particolarismo.
  3. L’abitudine a vivere costantemente un “mordi e fuggi” e a spendere velocemente le numerose esperienze che la realtà ci offre giorno per giorno, che concorre a far vivere ai ragazzi anche l’<avventura> associativa in maniera poco coinvolgente e non continuativa, fino alla prematura fuoriuscita dal gruppo. Sebbene ogni caso rappresenti storia a sé, tali situazioni ci spingono ad interrogarci sullo stimolo alla partecipazione e alla modalità di proposta dell’esperienza scout, affinché resti, fedele all’intuizione di B.P., allettante e coinvolgente.
  4. Una carenza generalizzata dello stile scout: dall’orgoglio di portare in maniera corretta l’uniforme al modo di approcciarsi alla vita, con ottimismo, semplicità e criticità… Rileviamo, quindi, l’esigenza di sottolineare con maggior forza ed incisività che lo stile non è, e non deve essere, solo un segno esteriore legato a “particolari momenti ufficializzati” ma l’esplicitazione di una scelta, man mano più consapevole, di uno stile di vita forte e controcorrente rispetto alla superficialità e il disinteresse oggi dilaganti; il richiamo costante all’essenzialità, all’ingegno, alla creatività, al servizio, a quei valori che sono alla base del percorso scout finalizzato alla maturazione del “buon cittadino”, orizzonte pedagogico di sviluppo armonico e completo del ragazzo, capace di scegliere e fare la differenza, fedele ai valori di responsabilità, solidarietà e partecipazione.
  5. La promozione dell’orgoglio e del senso di appartenenza attiva all’associazione e al gruppo, nelle sue diverse articolazioni, al di là dei semplici campanilismi, come reale capacità di educazione alla consapevolezza e alla scelta.

 

Pertanto ci impegniamo a:

 

-         A rafforzare il rapporto / dialogo con le famiglie, affinché i genitori siano sempre più partecipi e consapevoli delle finalità educative che intendiamo raggiungere con i ragazzi e perché che si crei quel rapporto di reciproca fiducia che possa dar vita ad una sinergia educativa efficace, un orizzonte educativo comune e condiviso, costruito e consolidato.

-         Lavorare con i ragazzi facendo scoprire loro la bellezza e la ricchezza dell’impegno e della responsabilità, in attività concrete e condivise con il resto della comunità (con le particolarità di ogni branca)

-         Esplicitare e riqualificare lo stile scout, sollecitando la riflessione del valore delle nostre azioni ed atteggiamenti, per giungere ad una testimonianza reale – richiesta a noi capi innanzi tutto - e consapevole che sia anche esercizio di responsabilità e fedeltà verso la Legge e la Promessa e non solo un insieme sterile di “norme e divieti”;

-         Evitare di chiuderci, come Gruppo, nelle nostre attività: favorire, di conseguenza, un maggior scambio con le altre realtà associative a noi più o meno vicine, per far cogliere a tutti i ragazzi – al di là delle esperienze delle P.O., Campi, Stage e Cantieri Nazionali – l’appartenenza alla “grande famiglia degli scout”,  l’identità  (e la scelta) forte che condividiamo - pur nelle differenti tradizioni ed abitudini – esercizio primario di dialogo e confronto positivo ed arricchente.

In quest’ottica, riteniamo fondamentali – a livello di Co.Ca. e di pattuglie – la maggiore sensibilità ed attenzione alle proposte delle strutture associative (zona e regione) per cogliere le occasioni di incontro con gli altri gruppi presenti sul territorio dando vita, o rianimando, a quella rete di relazioni e connessioni, ricchezza irrinunciabile della nostra Associazione.

-         Rendere evidente ed esplicito, nel corso della costruzione della PP con i ragazzi, il cammino unico che ogni ragazzo ha davanti a sé dal suo ingresso in branco fino alla partenza. Avere chiaro il proprio orizzonte significa, infatti, promuovere la curiosità e l’impegno del singolo, la collaborazione fra i ragazzi costruendo un proficuo trapasso nozioni e il valore dell’intera comunità, che assiste, sostiene, stimola ciascuno dei suoi membri lungo le diverse tappe del suo cammino (all’interno delle comunità di branca e dell’intero gruppo).

-         Renderci più sensibili alle proposte delle strutture associative (zona e regione) e cogliere le occasioni di incontro e confronto con gli altri gruppi presenti sul territorio (in senso ampio) in un’ottica di rete di relazioni arricchente e costruttiva.

 

 

Imprescindibile resta, per assicurare un’efficace azione con i ragazzi, il lavoro in comunità capi.

 

In particolare ci impegniamo:

  1. Migliorare l’andamento della Comunità Capi, al cui interno, spesso, si sviluppano dinamiche comunicative poco corrette; la passione e la foga per le dinamiche educative, infatti, rischiano a volte di degenerare – anche a causa dell’età media dei capi, molto giovani -, determinando riunioni caotiche ed eccessivamente lunghe, inadatte come occasione di corresponsabilità e formazione. Dobbiamo, quindi, lavorare come singoli e come comunità sui nostri limiti, per creare e sviluppare un clima più sereno e collaborativo, che possa garantire partecipazione ed espressione a ciascuno, in cui poter crescere dal punto relazionale e pedagogico.
  2. Confrontarci costantemente, nel nostro servizio, con la scelta di essere capo educatore scout, come risposta vocazionale ad una chiamata che investe tutta la vita e che implica una piena adesione e una concreta e coerente testimonianza dei valori alla base della nostra scelta (Patto Associativo)
  3. Creare dei momenti, all’interno del cammino di Co.Ca. e non solo delle staff, per fermarci a riflettere su gli strumenti metodologici a nostra disposizione per favorire – anche nei capi più giovani – una più matura intenzionalità educativa, che travalichi i limiti delle branche e possa assicurare in ciascun capo piena consapevolezza dei principi fondanti il metodo scout (autoeducazione, l’esperienza e l’interdipendenza fra pensiero ed azione, la coeducazione, la vita di gruppo e la dimensione comunitaria, il servizio, il gioco, la vita all’aperto), senza limitarlo alla sola branca in cui svolge quotidianamente servizio.
  4. Porre maggiore attenzione all’utilizzo del linguaggio (e simbolismo) proprio delle singole branche per rendere i ragazzi maggiormente partecipi e consapevoli di ciò che vivono, di cui sempre e comunque – rispettando le fasi di maturazione – dovrebbero essere protagonisti.
  5. Portare avanti in Co.Ca uno stabile programma di formazione permanente, “atteggiamento della persona in continua ricerca di occasioni e strumenti di crescita, verifica, aggiornamento e confronto” (cfr Art.19 Regolamento di Formazione Capi);  rafforzare lo spirito di corresponsabilità dei singoli capi condividendo, in Co.Ca, difficoltà, problematiche, punti di forza ed obiettivi raggiunti nel lavoro di unità, senza timori o remore.

 

L’educazione al senso

 

Educare la fede è parte integrante della nostra proposta ed ogni elemento dello scoutismo concorre alla formazione della dimensione religiosa della persona. Essa diviene così orientamento di tutta la vita, riconducendo ad unità quel rapporto fra fede e vita, vissuto spesso in maniera dicotomica per incapacità di raccordare le due dimensioni.

Essere e non solo professarsi cristiani, rappresenta per noi Co.Ca. l’invito più pressante a cui ricondurre il nostro operare in un ottica di servizio ed evangelizzazione.

“Vivere la fede come dono meraviglioso, ancor prima che scelta razionale, significa scoprire – e condurre i ragazzi a tale scoperta – la possibilità di poter pensare alla nostra vita come ad una relazione piena di senso con il mistero stesso di Dio, che si manifesta con pienezza nell’uomo Gesù Cristo, morto e risorto per la salvezza di tutti noi”. (da Reg. interbranca)

 

-         L’educazione della fede nei nostri ragazzi ha risentito della mancanza, nel passato, di un A.E. che ci accompagnasse nel nostro cammino educativo e che potesse essere, in Co.Ca e nelle pattuglie, un punto di riferimento essenziale per la preparazione e per la crescita di noi capi nella proposta catechetica.

-         Spesso con un atteggiamento legato all’età o a modelli generalmente accettati, i ragazzi si sono dimostrati poco interessati e/o coinvolti dalle catechesi, dimostrando di contro, proprio attraverso questa chiusura, la propria necessità di costruzione critica della scelta di fede, lontana da formalismi e riti, freddi e muti se non animati dalla partecipazione e concelebrazione.

-         Il mandato che come educatori e catechisti abbiamo ricevuto, rende prioritaria la necessità di una proposta forte, capace di farsi testimonianza concreta e una adeguata formazione e partecipazione attiva alla Chiesa.

-         La necessità di far vivere l’esperienza di fede come fondamento dell’esperienza quotidiana e filo rosso attraverso ridare senso alle nostre azioni. Di conseguenza riunire quella dicotomia fra le attività scout e la catechesi in un’ottica di reciproca illuminazione, in cui l’esperienza del risorto diviene orizzonte del nostro cammino e speranza per le nostre azioni.

 

Pertanto ci poniamo i seguenti obiettivi:

  1. Curare, con l’aiuto e il supporto dei nostri A.E., la proposta di fede fatta ai ragazzi, cercando di far “sperimentare” loro l’annuncio cristiano in maniera vitale ed attuale, capace di illuminare ogni azione della nostra vita, fuori e dentro l’Associazione.
  2. Far nostro, a livello di Co.Ca, il tema già proposto a livello di zona, del capo catechista. Avendo il pieno appoggio, in questo, dei nostri A.E, ci proponiamo di maturare una piena consapevolezza e competenza catechistica, per poterci assumere il ruolo non marginale di educatori alla fede, anche per il percorso dell’iniziazione cristiana.
  3. Definire al meglio il percorso di fede di e in Co.Ca, spesso lasciato alla libera iniziativa dei singoli e di cercare costanti stimoli per trovare tempi e percorsi di crescita nella capacità di preghiera e nella vocazione di essere e fare Chiesa

 

L’educazione alla relazionalità

 

La nostra parrocchia si insedia in un territorio molto eterogeneo e ricco di contraddizioni,  al centro di un ideale quadrilatero che si estende da     a……

Il quartiere, molto vivace ed attivo, è stato, negli decenni scorsi, oggetto di una forte espansione urbanistica, anche se non sempre portata a termine, visti i numerosi cantieri ancora aperti o addirittura abbandonati che insistono sul suo territorio.

I servizi e le attività commerciali sono abbastanza attestati, sviluppatesi in maniera significativa intorno al Campus da una parte, e il Parco 2 Giugno dall’altro. La rilevanza di tali “poli” ha favorito, oltre lo sviluppo urbano, l’implementazione della rete viaria e dei trasporti, che tuttavia non riesce a smaltire efficacemente il traffico che si sviluppa, in particolare, nelle ore di punta. A livello urbanistico, la situazione è complicata dalla scarsità dei parcheggi, che, in particolare nello spiazzo davanti alla chiesa di San Marcello, determinano una situazione caotica e spesso pericolosa.

Infatti, sia durante la settimana per tutti gli studenti del campus, che la domenica per le messe, lo spazio intorno alla chiesa si trasforma in flebile speranza per chi ricerca affannosamente un parcheggio, anche in spazi non destinati alla sosta. Altro aspetto problematico, legato alla circolazione privata, è l’alta velocità con cui spesso, quando il traffico lo permette, si transita per via Fanelli, anche a dispetto delle strisce pedonali, non sempre presenti e sufficienti a garantire l’attraversamento e l’arrivo in parrocchia per i pedoni. Infatti, la conformazione urbanistica dell’incrocio fra via Fanelli, via Divittorio ed Omodeo non garantiscono una sicura e tranquilla accessibilità  agli spazi parrocchiali dall’ingresso principale.

La presenza nel quartiere è molto eterogenea per età, estrazione sociale, composizione familiare ed orientamenti lavorativi: molti sono gli studenti, in particolare fuorisede, e le famiglie che pur risiedendo in zona non vivono il territorio, spostandosi per lavoro o per interesse in altre aree della città. Di contro però, in particolare la parrocchia, ricopre il ruolo di forte centro di aggregazione per diverse persone che risiedono altrove, supplendo in qualche modo all’assenza o alla presenza non sempre efficace ed incisiva – in particolare per i ragazzi e in maniera molto più limitata per gli anziani – di centri di incontro e/o accoglienza.

La realtà complessiva che emerge dall’esame del quartiere, attraversando in maniera trasversale le diverse realtà e “facce” del quartiere che San Marcello idealmente divide, è quella di una grande ricchezza e varietà, i cui protagonisti, però, difficilmente entrano in relazione, sentendosi radicati ed appartenenti – con le proprie peculiarità – alla stessa unità territoriale e, in senso più allargato, spazio sociale e civile di cui farsi carico e condividere problematiche e prospettive di sviluppo.

Collante di esperienze e realtà diverse, la parrocchia, nello specifico, raccoglie e risponde alle diverse esigenze e bisogni che il territorio evidenzia. Centro vitale, sempre in fermento e ricco di esperienze, colori, vissuti diversi, la realtà parrocchiale è capace di farsi promotrice della cultura dell’accoglienza e della solidarietà. Tanti i gruppi attivi al suo interno, tante le persone da incontrare, ascoltare e cercare, pur nella confusione della nostra contemporaneità.

Per noi inserirci in un contesto così variegato ed impegnativo, ha significato innanzitutto lavorare per una maggiore consapevolezza, partecipazione e corresponsabilità.

Infatti, considerare la parrocchia non solo mero luogo di incontro funzionale alle nostre programmazioni, ma occasione costante di incontro, crescita, confronto ed impegno, richiede una maggiore attenzione alla vita comunitaria, seppur con i suoi mille colori, e una maggiore volontà – reale – di interazione.

L’interazione, infatti, non è un processo automatico che si realizza condividendo spazi, ma un lungo itinerario scandito da incontri, disponibilità, partecipazione e condivisione.

 

Ci impegniamo, quindi a:

  1. Una maggiore conoscenza del territorio in cui operiamo, affinchè la nostra azione possa essere realmente efficace e possa far sentire ai ragazzi – al di là della provenienza – lo spazio del quartiere come qualcosa di proprio, da curare, di cui interessarsi, in cui agire consapevolmente
  2. Rendere maggiormente visibile e concreta la nostra presenza nella realtà territoriale, sfruttando innanzitutto la posizione strategica della nostra sede (Centro Nazareth), nel cuore del quartiere, ma soprattutto proponendo attività che ci spingano ad incontrare persone e situazioni, all’insegno della disponibilità e del servizio, interagendo in maniera positiva anche con le altre agenzie / enti attivi sul territorio.
  3. Sfruttando la nostra metodologia e l’attrattiva che essa può esercitare sui ragazzi, cercare di arrivare e coinvolgere anche le fasce giovanili più disagiate che vivono una situazione di disagio spesso al limite della legalità. Proprio di tale valore intendiamo farci promotori, partendo da una maggiore condivisione delle regole e della legge, fondamento essenziale per il vivere comune, all’interno del gruppo, per poter proporre in maniera coerente una proposta alternativa, sicuramente meno facile ed impegnativa alle scorciatoie dell’illegalità, percorse a volte dai ragazzi anche per gioco e/o emulazione.
  4. Essere parte attiva della comunità parrocchiale, innanzitutto garantendo la nostra presenza nei momenti in cui essa si raccoglie (x es. i ritiri, gli incontri di discernimento, la festa di S. Marcello e qualunque altra occasione la richiami), in modo positivo e gioioso, senza intravedere negli incontri comunitari piccoli o grandi ostacoli al “normale” procedere delle nostre attività.
  5. Consolidare il nostro senso di appartenenza alla comunità e non solo ai suoi spazi, curando maggiormente la gestione degli ambienti utilizzati – richiamando la responsabilità di ciascuno nella cura e manutenzione degli ambienti e risorse che utilizziamo -, ma soprattutto con la scelta e/o concretizzazione delle attività, che dovrebbero cercare – nei limiti – di condividere, con la parrocchia, tempi e priorità.
  6. Creare una rete più solida di relazioni proficue con le altre realtà parrocchiali, in particolare quelle giovanili, con cui condividiamo – seppur con talenti diversi - problematiche e responsabilità educative. Riteniamo, infatti, fondamentale cercare (e sfruttare) maggiori momenti ed occasioni di collaborazione con tali realtà (ACR, i gruppi di catechismo ai vari livelli) per lavorare insieme, in un clima sereno ed accogliente, senza nessuna diffidenza o pregiudizio, o semplicemente, la necessità di momenti “istituzionali” per incontrarci

 

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